Mafia, confisca di beni per restituirli alla società

Grazie ad un’iniziativa scolastica ho avuto la possibilità, insieme a tutti gli studenti dei plessi “Alessandrini e Mainardi”, di partecipare a due incontri riguardanti la mafia che si sono tenuti in due differenti date: il primo, organizzato da “FONDAZIONE CORRIERE DELLA SERA”, si è svolto il giorno 17 novembre 2020, mentre il secondo, organizzato direttamente dall’Istituto “Alessandrini e Mainardi” di Vittuone, è stato trasmesso il 23 novembre 2020. Entrambe le conferenze sono state visualizzate online, ma su due piattaforme differenti. “Legalità e lotta alla mafia”, questo il nome del primo meeting, è stato trasmesso sul sito ufficiale della “FONDAZIONE CORRIERE DELLA SERA”, invece “Beni confiscati, beni per noi riconquistati”, ovvero il secondo incontro a cui abbiamo partecipato, è stato seguito su YouTube.

Questi eventi non solo miravano a dare un quadro generale della criminalità organizzata, ma anche a mettere in luce un aspetto che spesso passa in secondo piano, quando l’argomento di discussione è la lotta alla mafia: la confisca di beni e la loro riassegnazione a favore della società. Quando si parla di associazioni mafiose, infatti, il più delle volte si pensa alle stragi da loro compiute, ai numerosi processi, all’intercettazione di narcotraffici da parte delle forze dell’ordine e al “pizzo”, uno dei cliché più presenti nell’immaginario collettivo. Sebbene sia innegabile che conoscere quanto sopra elencato sia una componente importante nella lotta alla mafia, è bene introdursi anche in aspetti che vengono trattati meno frequentemente. 

Ad accompagnarci in questo percorso sono stati, nel primo incontro, la dottoressa Alessandra Dolci, capo della “Direzione distrettuale antimafia” di Milano, e Cesare Giuzzi, giornalista del “Corriere della sera”; nel secondo, i dottori Bellasio e Scudieri e i sindaci di Cornaredo, Cisliano e Sedriano, rispettivamente Yuri Santagostino, Luca Durè e Angelo Cipriani. I loro interventi ci hanno aiutano ad addentrarci in un mondo, per molti versi oscuro; ci hanno parlato di esperienze vissute, facendoci capire come la mafia, in tutte le sue sfaccettature, sia molto presente anche nel nord Italia e perciò vicina al nostro quotidiano. È stato poi possibile chiarire i propri dubbi, ponendo domande, attraverso la chat.

Iniziamo dunque a vedere più nello specifico gli argomenti trattati.

“Parlare di mafia invisibile è estremamente riduttivo nella realtà del nord”, così Alessandra Dolci inizia il suo discorso, spiegando come episodi sintomatici della presenza della criminalità organizzata siano facilmente individuabili, basti pensare ai danneggiamenti sui cantieri e ai numerosi episodi di violenza; ma non solo, la ‘Ndrangheta, una delle cosche mafiose più presenti al nord, colpisce i contesti medio-piccoli, in quanto risulta più facile intrattenere rapporti con chi governa. Possiamo quindi intuire facilmente che la mafia si insinua in una pluralità di contesti. 

Viene poi messo in luce come non vi sia necessariamente l’utilizzo della violenza fisica da parte degli individui appartenenti a una famiglia mafiosa, infatti vengono spesso adottate minacce, veicolate attraverso messaggi impliciti, come “So a che ora prende il treno tuo figlio”. Oltretutto la cattiva fama del mafioso gli permette di ottenere appalti di costruzioni o servizi, senza dover concorrere con altre società, in quanto queste ultime, intimorite dalla sua presenza, preferiscono non partecipare.

Tuttavia, per quanto sia una grande verità che la mafia utilizzi la minaccia come strumento per raggiungere i propri fini, spesso vengono impiegate modalità coercitive più violente. È il caso della famiglia Valle: questo clan, che praticava l’usura, possedeva la Masseria a Cisliano, nella quale, chi non pagava, veniva picchiato. Questo discorso verrà poi affrontato più nello specifico dal sindaco Durè, ma è importante evidenziare subito che, dopo la confisca del bene, la ristrutturazione della Masseria è stata possibile anche grazie al lavoro di molti studenti. 

La dottoressa Dolci, infatti, sottolinea l’importanza che un ragazzo può avere nella lotta alla mafia, semplicemente rimanendo informato, non frequentando locali i cui gestori sono collegati a famiglie mafiose e partecipando a corsi di formazione o iniziative di ristrutturazione di beni confiscati. 

Proseguendo nel discorso la dottoressa si ricollega proprio ai beni confiscati dicendo che essi devono essere assegnati, ristrutturati e poi sfruttati in maniera adeguata. Dopo la confisca da parte dello Stato, difatti, i comuni devono acquisire i beni e, il più delle volte, devono ricercare sponsor per ristrutturarli. Alcune persone affermano che sarebbe più conveniente vendere tali beni a privati e incassarne il ricavato, ma essendo simboli del potere della mafia bisogna metterli al servizio della società, per dimostrare che lo Stato può fornire determinati servizi ai cittadini.

A causa delle ingenti risorse economiche necessarie però, purtroppo, è frequente vedere questi beni abbandonati.

Si è poi toccato un ulteriore punto importante, ovvero la fortissima coesione interna delle famiglie mafiose. Soprattutto tra i membri della ‘Ndrangheta vi sono legami indissolubili, e infatti, se catturati, non rispondono alle domande dei magistrati per non danneggiare gli altri. Nel momento in cui decidono di iniziare un processo di collaborazione con lo Stato, hanno molte difficoltà emotive, perché ai loro occhi si tratta di tradire gli amici, i parenti e i valori con cui si è cresciuti.

Anche le donne hanno una notevole importanza e sono considerate l’architrave della famiglia, in quanto crescono ed educano i figli, creano alleanze attraverso matrimoni combinati e custodiscono l’onore (con un’accezione del tutto particolare)  di una famiglia. Nella ‘Ndrangheta non è concesso il divorzio e le donne non possono assolutamente avere condotte disinvolte.

Per dimostrare come i legami e il rispetto siano importanti nella ‘Ndrangheta, la dottoressa Dolci cita l’esempio di Compare Nunzio e Antonino Belnome, ex boss e killer, ora collaboratore di giustizia. Quando Compare Nunzio era stato nominato capo della struttura regionale chiamata “La Lombardia”, voleva svincolare la ‘Ndrangheta lombarda da quella calabrese. Questa mancanza di rispetto venne considerata inaccettabile e fu ordinato ad Antonino Belnome di ucciderlo.

Dopo la morte di Compare Nunzio la cosca mafiosa venne riorganizzata: per un anno vi fu il fermo delle cariche, il commissariamento e successivamente l’assegnazione di nuovi boss. 

Per il reato commesso, Antonino Belnome venne poi incarcerato. Durante il processo, ammise ogni sua colpa e non si fece scrupolo a parlare di sé, ma fu messo in difficoltà quando fu chiamata in causa la “famiglia” e fu insinuato che alcuni suoi parenti non ne avessero rispettato le regole. 

Nell’ultima parte dell’incontro il magistrato Dolci precisa come la capacità di adattamento della mafia sia stupefacente. Per chiarire meglio questo concetto prende come esempio la situazione attuale, nella quale la pandemia di Covid-19 ha rallentato, se non completamente bloccato, la maggior parte delle attività e dei commerci. La mafia ha per prima ricercato forniture di mascherine e disinfettanti, oltre a società di sanificazione e di pompe funebri, al fine di minimizzare la perdita dei guadagni.

Conclude, però, dicendo che il business che maggiormente porta introiti alla mafia è lo smaltimento illegale dei rifiuti, da qui la frase “La monnezza è oro”.

Il tema dei beni confiscati, già accennato in precedenza, è stato oggetto di una trattazione più specifica nel corso dell’incontro “Beni confiscati, beni per noi riconquistati”.

Inizialmente è stata fatta una breve introduzione, da parte di alcuni membri del personale del nostro Istituto e dall’assessore Riccardo De Corato, nella quale è stato sottolineato come la Lombardia da anni sostenga i “Centri di Promozione della Legalità”. Essi sono un esempio di eccellenza per tutto il programma regionale e rafforzano la consapevolezza critica nei confronti della corruzione e della criminalità organizzata. La Lombardia è la quarta regione italiana per numero di beni sequestrati e confiscati alla mafia. “Dobbiamo lavorare in sinergia affinché le opportunità si trasformino in progetti e i progetti in realizzazioni”, questa la conclusione del discorso dell’assessore che precisa la necessità dell’impegno di tutti, società, mondo della scuola, famiglie e cittadini, per valorizzare i beni confiscati.

Successivamente ha preso la parola il dottor Scudieri, magistrato della “Direzione distrettuale antimafia” di Milano, illustrando una delle strategie messe in atto dalle forze dell’ordine e dalle associazioni antimafia contro la criminalità organizzata: il “Procedimento di prevenzione”.  Questo modo di agire ha come obiettivo colpire le persone socialmente pericolose, ovvero che vivono di proventi di reati o che compiono delitti contro la persona o contro il patrimonio. Questa modalità permette di tenere sotto controllo queste persone imponendo loro degli obblighi e dei limiti. Il più importante di questi è la “sorveglianza speciale di pubblica sicurezza”, cioè il costante monitoraggio di questi individui da parte delle forze dell’ordine e la possibilità di impedire loro di lasciare la propria l’abitazione.

Una strategia cosiddetta “reale” (dal latino res, cosa), è invece la confisca dei beni. In questo caso la modalità di azione è diversa rispetto a quella del “Procedimento di prevenzione”. Sebbene si parta sempre da un individuo ritenuto pericoloso, l’obiettivo è quello di dimostrare che il soggetto in questione possieda dei beni che non potrebbe permettersi con il proprio reddito lecito. Una volta fatto ciò si può procedere alla confisca dei suddetti beni, senza dover dimostrare quali siano i proventi criminosi. In questo processo si opera attraverso la “presunzione”: si presume che un bene sia stato ottenuto grazie a guadagni illeciti.

Il fine ultimo di questa procedura è restituire al sociale immobili, servizi, società e denaro, che sono stati oggetto di attività criminose. Uno dei motivi principali per cui questi beni non vengono venduti a enti terzi, oltre a quello già spiegato dalla dottoressa Dolci, è impedire alla mafia di reinvestire su di essi.  

È importante evidenziare come ciò che viene confiscato non debba essere necessariamente restituito a chi è stato coinvolto in quanto vittima di estorsione o di perdita materiale, ma deve comunque essere utilizzato a fini socialmente utili, ad esempio per ristrutturazioni, nel caso si parli di denaro, o spazi aperti ai cittadini, nel caso si parli di immobili. 

Terminato l’intervento del dottor Scudieri, è il dottor Bellasio a proseguire il discorso.

Roberto Bellasio è un poliziotto in forze alla “Agenzia nazionale beni confiscati alla mafia”.

Egli spiega che l’Agenzia gestisce un patrimonio di 30000 immobili, con l’obiettivo di “portarli a destinazione”, ovvero di affidarli in gestione ai comuni. Lo stato in cui vengono ritrovate queste proprietà spesso costituisce una difficoltà per la loro assegnazione, infatti il mafioso, quando si vede sottratto un bene dalle forze dell’ordine, tenta di distruggerlo, lasciandolo nella peggior condizione possibile. Gli importanti costi di ristrutturazione rendono restii i comuni a prendere in gestione tali beni.

Un altro elemento che va tenuto in considerazione è il “soddisfacimento dei creditori”, bisogna infatti valutare se il credito è soddisfatto o meno. Se, ad esempio, vi è la presenza di un mutuo da pagare, il bene può non essere destinato alla società, perché necessario a pagare il credito.

Nel momento in cui i beni sono utilizzati da persone non criminali, che sono inconsapevoli delle modalità illegali con cui quel bene è stato acquisito, queste ultime devono comunque abbandonare la proprietà.

Il dottor Bellasio ha concluso poi il suo discorso riportando un dato molto importante, vale a dire la significativa crescita che ha avuto la “Agenzia nazionale beni confiscati alla mafia”, la quale è passata da un numero esiguo di persone, circa trenta, ad avere 6 sedi in tutta Italia (solo la sede di Milano ora conta 18 persone).

A proseguire il discorso sono stati dunque i tre sindaci presenti, i cui interventi trattano di casi specifici. Il primo a raccontare la propria esperienza è Yuri Santagostino, sindaco di Cornaredo, che parla di un ex mobilificio, della grandezza di 2500m2 e diviso su più piani, di cui il comune di Cornaredo è entrato in possesso nel 2016.

Il progetto di ristrutturazione richiedeva ingenti quantità di denaro, circa 1.200.000 euro, che vennero vinti tramite il “Bando bellezza”, bandito dall’allora premier Matteo Renzi. Il Comune propone allora, con l’aiuto della “Fondazione Politecnico”, un esecutivo e si arriva a una definizione abbastanza precisa delle finalità della struttura. La proposta prevedeva che il piano terra e quello sotterraneo diventassero la sede di un’attività commerciale legata alla ristorazione, i piani più alti venissero adibiti a spazi di ritrovo per la collettività e infine l’ultimo piano doveva essere destinato alla costruzione di appartamenti per famiglie in difficoltà. 

I contributi tuttavia non sono ancora stati erogati e conseguentemente i lavori per la ristrutturazione sono tutt’oggi in stallo. Inoltre lo Stato, per assicurare la sovvenzione, ha chiesto che il bene confiscato fosse culturale, presupposto non necessario inizialmente.

Ciò che il sindaco Santagostino ha voluto sottolineare è la difficoltà nello sfruttare risorse economiche che ci sono e che sono già adibite ad un determinato utilizzo, per la scarsa organizzazione dello Stato e per i lunghi tempi della burocrazia.

Il secondo intervento riguarda, invece, la Masseria di Cisliano, a raccontarci di ciò è Luca Durè, sindaco della città. La Masseria, di proprietà della famiglia ‘ndranghetista Valle, venne liberata dalla presenza mafiosa il primo luglio 2010, a seguito di un’inchiesta che portò anche all’incarcerazione di quindici persone.

Circa quattro anni dopo, il 13 ottobre 2014, venne emessa la sentenza di confisca definitiva da parte della Corte di Cassazione. Già nel 2013 il sindaco aveva espresso la forte volontà di acquisire la Masseria e quando poi è stata concessa la stipula di un comodato d’uso sono iniziati una serie di lavori di ristrutturazione e valorizzazione dei vari ambienti. Questo processo di rinnovamento dell’immobile fu molto difficoltoso perché, oltre alla scarsa qualità dei materiali e alla carente professionalità di chi ha realizzato le opere, il bene era stato gravemente danneggiato dalla famiglia mafiosa che lo abitava, secondo il principio già visto in precedenza, “se non può essere mio, non deve essere di nessun altro”. 

Ciò che il sindaco Durè ci tiene a precisare durante il suo discorso, è il ruolo fondamentale che hanno avuto gli studenti nella ristrutturazione della Masseria, infatti sono stati moltissimi i ragazzi che durante l’estate hanno lavorato, dedicando a quel progetto molto tempo e fatica. Per finire, quindi, sprona tutti a sostenere iniziative del genere, aiutando in ogni modo possibile.

Proprio a questo concetto si ricollega Angelo Cipriani, sindaco di Sedriano. Inizialmente sottolinea che le dinamiche e le difficoltà di un comune, nel gestire un bene precedentemente confiscato, sono già state trattate molto approfonditamente da chi lo ha preceduto. Conferma la presenza di tali difficoltà anche nella sua esperienza personale, ma la parte più consistente del suo discorso riguarda proprio l’atteggiamento che noi giovani dobbiamo avere nei confronti della criminalità organizzata. Invita quindi tutti i ragazzi a studiare e a rimanere il più possibile aggiornati sulle vicende che coinvolgono la mafia, perché, sebbene per molti anni si sia pensato che la mafia fosse un problema del sud, oggi sappiamo che non è così. “È successo qui, sotto casa nostra, sotto casa anche vostra” dice, in riferimento alle vicende citate precedentemente dagli altri sindaci e allo scioglimento per infiltrazioni subito da Sedriano nel 2012. Sul territorio di Sedriano vi sono tre beni confiscati alla mafia, di cui solo due sono stati acquisiti dal Comune.

Infine il sindaco ricorda come la legalità non sia qualcosa di astratto, ma sia il riassunto di un insieme di comportamenti; sono proprio i singoli comportamenti giornalieri a fare la differenza e bisogna iniziare subito a costruire il futuro che desideriamo.

Personalmente sono molto grato di aver avuto la possibilità di seguire questi incontri, perché quando si parla di argomenti delicati, come la criminalità organizzata, la testimonianza di esperti del settore è fondamentale per comprendere il funzionamento delle dinamiche e dei meccanismi interni ad essi. Ho inoltre apprezzato molto la possibilità di ascoltare più persone e, conseguentemente, molteplici punti di vista. Questo a mio parere permette di avere una visione esaustiva, oggettiva e razionale dell’argomento in questione.

Tuttavia penso che la trattazione di un argomento di tale importanza e gravosità, richieda una migliore diluizione degli interventi, per riuscire a mantenere la dovuta attenzione. Fortunatamente in questo caso gli incontri sono stati registrati e poi caricati online, questo mi ha dato la possibilità di andare a verificare eventuali dubbi o di riascoltare spezzoni di intervento che a un primo ascolto mi erano risultati poco chiari.

Da ultimo posso affermare che le parole di tutte queste persone, che hanno dedicato parte del loro tempo per permetterci di fruire della loro storia e competenza, al fine di sensibilizzarci su questo tema, mi hanno molto colpito, sollecitato a rimanere sempre informato e a dare un contributo alla causa.