Rivoluzioni e punti di vista

Il 25 Ottobre 1917 del calendario giuliano,  si compiva una rivolta poi chiamata “rivoluzione d’ottobre”, un punto di non ritorno per la Russia e per la storia moderna e contemporanea. A un secolo di distanza, la riflessione su di essa è ancora difficile, in Russia come in Europa, ma può rappresentare una preziosa occasione per riconsiderare, con adeguata criticità storica, l’origine, il senso, la ricaduta sulla storia di ieri e di oggi di questo avvenimento epocale.
La Rivoluzione Russa ha infatti cambiato la prassi politica, i valori, l’etica sociale e la mentalità non solo russa ma mondiale. Ritenendo di poter contribuire costruttivamente al dibattito, il Centro Culturale “Don Cesare Tragella” ha promosso una conferenza rivolta agli studenti delle classi quarte e quinte superiore, presso il teatro Lirico di Magenta, proprio il giorno del calendario gregoriano nel quale la rivoluzione compie cento anni, il 7 novembre.
La conferenza è stata tenuta dalla prof.ssa Marta Carletti, ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana e Direttore Responsabile della rivista “La nuova Europa”, la quale ha deciso di dare un taglio diverso agli avvenimenti del passato rispetto a quello proposto dai libri, offrendo così un punto di vista differente ed inconsueto.
Durante il periodo antecedente alla rivoluzione, a discapito di quanto si dica, la Russia era sì arretrata, ma non in gravi condizioni economiche: vennero attuati programmi di recupero e, quando iniziò a prendere piede la nuova economia, lo stato acquisì un indice di industrializzazione anche più alto dell’Inghilterra.
Inoltre la Russia vantava di importantissime fucine, un’agricoltura automatizzata, e l’Ucraina, parte dell’impero zarista, era considerata il granaio d’Europa. Inoltre, secondo la relatrice, con la riforma agraria del 1861, promulgata dallo Zar Alessandro II, la quale aboliva ufficialmente la servitù della gleba in gran parte dell’impero, la Russia riuscì a liberarsi dei latifondi e l’89% delle terre era posseduta da contadini. Questo dato è abbastanza discusso:  secondo molti vi erano ancora i latifondi e ciò fu una delle cause della rivoluzione, dato che le commissioni locali preposte all’emancipazione, dominate dai signori terrieri, effettuarono tale pratica quasi sempre a loro vantaggio limitando la libertà concessa agli ex-servi. Coloro che erano stati servi, di norma, rimanevano nei villaggi di origine, ma veniva richiesto loro di pagare indennità, lungo periodi fino a cinquant’anni, per ottenere in usufrutto le terre. I proprietari terrieri che avevano emancipato servi vennero indennizzati attraverso obbligazioni di stato.


Dunque il fattore principale che portò alla rivoluzione non fu un problema economico, tanto meno culturale. Era stato avviato un processo di alfabetizzazione nel 1866 grazie a una serie di riforme e in quel periodo l’Impero ospitava grandi letterati, tra i quali Dostoevskij, Tolstoj, Gogol’, importantissimi scienziati come Mendelev e Popov, musicisti e artisti. A scatenare il malcontento fu invece il terrorismo.
Esso fu portato avanti da due gruppi: nichilisti e populisti. I nichilisti  avevano posizioni materialiste e positiviste, esaltavano le scienze esatte e rifiutavano la tradizione ed i doveri familiari e religiosi, non avevano alcuna fiducia nelle riforme proposte dalla classe dirigente. I populisti, invece, erano il movimento slavofilo. Entrambe le fazioni si opponevano a chi avrebbe voluto imitare i modelli capitalistici occidentali e sostenevano una via nazionale allo sviluppo della Russia. Questo sviluppo sarebbe partito dalla classe contadina: i populisti intendevano alfabetizzare i contadini e renderli coscienti della loro condizioni; il loro scopo ultimo era l’abbattimento dello Stato, da sostituire con comunità agricole.
Tra il 1865 e il 1866 nacque una società segreta, l’Organizzazione, con gli obiettivi di creare cooperative di contadini e fare propaganda in vista di un’insurrezione generale.
All’interno dell’Organizzazione si distinse un piccolo nucleo di rivoluzionari,  l’Inferno. Esso puntava alla lotta violenta contro il governo e contro la classe dirigente. In particolare, decisero di uccidere lo zar Alessandro II, ritenuto responsabile della miseria dei contadini e degli operai. I contadini, tuttavia, analfabeti, non erano interessati alle parole di questi rivoluzionari. Ciò amareggiò i sovversivi, i quali si convertirono tutti alla violenza: vennero così organizzati numerosi attentati politici mirati alla distruzione degli ordini. In poco tempo il terrorismo divenne stragismo, con lo scopo di creare più disordine possibile, e dal 1900 al 1917 il terrorismo mietette da 100 a 10000 vittime. Nasce così il gruppo di terroristi “senza motivi”, mossi dal motto “ammazzare chiunque”. Si manifestarono in grande numero suicidi rabbiosi e vennero inventati armi da strage, come le carrozze bomba e le cinture esplosive.
La società di fronte a questo nuovo fenomeno non seppe come rispondere, così come la monarchia. Si optò per una durissima repressione, al punto tale che il popolo, e gli stessi magistrati, iniziarono a simpatizzare questi rivoltosi, fino a considerarli eroi sociali.
Nonostante ciò il terrorismo contribuì notevolmente al malcontento popolare che già si era manifestato a causa della carestia e soprattutto per la sfiducia nella monarchia.
Al tempo in Russia vi era una monarchia assoluta, capeggiata dallo zar Nicola II, fortemente religiosa: lo zar infatti era il capo della religione ortodossa nonché “unto dal Signore” e difensore della fede. Nell’impero non vi era libertà di culto: la popolazione russa era costretta al cristianesimo. Tuttavia, differentemente da altri vecchi regni assolutistici, l’impero era stato reso vuoto e burocratico, ad esempio tutti gli operai per poter lavorare erano costretti a presentare un certificato di confessione e comunione ogni anno. Inoltre lo zar non manifestava alcuna carità cristiana e ne dava esempio al popolo ogni volta che reprimeva una rivolta o che rifiutava le richieste popolari. Vi fu un episodio che fu particolarmente segnante per la popolazione: lo zar  venne consigliato da Tolstoj circa il concedere la grazia ad un condannato a morte, in modo tale da placare la folla e dimostrarsi caritatevole, ma Nicola II non lo ascoltò e comandò l’esecuzione. Con tale gesto tradì una volta per tutte gli ideali cristiani che rappresentava, rendendo odiosa anche agli occhi della popolazione la fede stessa, che ormai era visto come un concetto finto e privo di senso.


Intanto le rivolte popolari erano già iniziate, e numerose richieste per concedere un parlamento erano state avanzate al governo, ma lo zar, testardo, le rifiutò, egli riteneva che lo Stato fosse perfetto, intoccabile e immutabile.
Il governo russo dunque era debole e instabile nella politica interna ma sembrava essere forte in quella estera. Questa credenza venne smentita quando nel 1904 il neonato Giappone dichiarò guerra alla Russia per avere il controllo sulla Corea. L’impero, che sulla carta avrebbe dovuto essere il vincitore, perse rovinosamente, si suppone a causa di conflitti interni all’esercito.
La domenica del 22 gennaio 1905, o 9 gennaio per il calendario giuliano, avvenne un episodio che fu un colpo decisivo verso la disgregazione del  secolare impero della dinastia zarista. Quel giorno, un prete, si mise alla testa di oltre centomila lavoratori diretti verso il palazzo d’inverno, sede dello Zar, con la richiesta di protezione e di riforme che andassero incontro alla loro misera situazione. Non era una manifestazione anti zarista, molti lavoratori avevano con sé immagini e ritratti di Nicola II, ma la polizia fedele allo zar, che era allora assente, dimostro’ tutta la propria incompetenza, aprì’ il fuoco verso i manifestanti credendo di trovarsi davanti ad una folla ostile. I morti furono circa un centinaio, molti di più i feriti.  
Un moto di indignazione si diffuse ben presto in tutto il paese. Scoppiarono altre agitazioni spontanee a Varsavia e a Riga con scontri con le truppe governative e si registrarono altre perdite di vite umane. Fu la cosiddetta “Domenica di sangue” e molti storici asseriscono che da quel giorno lo zar perse la fiducia di quasi tutti i lavoratori, rimastogli fino ad allora fedeli.
Sotto pressioni ormai insostenibili lo zar decise di cominciare a venire incontro alle richieste dei sudditi. Abolì’ alcune leggi illiberali, promulgò’ la tolleranza religiosa e promise un parlamento, la Duma, con funzione solo consultiva e sul quale aveva libero diritto di veto, e che venne sciolta successivamente quattro volte. Inoltre il nuovo parlamento era formato dell’aristocrazia russa e dagli esponenti dei gruppo di estrema sinistra, rendendo così evidente come il proletariato non fosse rappresentato.
Così, nel 1917, il popolo insorse e rovesciò l’impero russo. A Pietrogrado scoppiò la rivolta con la rivoluzione di febbraio e il 2 marzo (calendario giuliano) Duma, soviet di operai e soldati si accordarono per la deposizione dello zar e l’istituzione di un governo provvisorio formato da cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari. Il leader bolscevico Lenin, tornato dall’esilio in Svizzera, sostenne la necessità di trasformare la rivoluzione borghese di febbraio in Rivoluzione Proletaria, guidata dai Soviet, che mirava alla instaurazione di una società comunista. Nell’ottobre i bolscevichi occuparono i punti nevralgici della capitale dando vita alla rivoluzione d’ottobre. Lenin fu decisivo perché capì come attuare questa rivolta. Egli intuì che il popolo, una volta che avrebbe avuto qualche diritto, non avrebbe continuato la lotta, quindi decise di spronarlo e stimolarlo, ricordando costantemente i massacri avvenuti durante le proteste. Lenin contava moltissimo nella fiducia della popolazione, egli doveva contrapporsi alla figura che era stata lo Zar: abolì l’esercito e la polizia di stato che ormai era detestata(ma si assicurò comunque di mantenere delle forze militari). Ciò permise a Lenin di poter applicare il progetto marxista nonostante il paese fosse in uno stato disastrato. Impose l’ateismo e i vecchi canoni tradizionalisti furono distrutti. Il concetto di famiglia scomparse, lasciando spazio a quello di comunità, venne legalizzato l’aborto e diversi diritti fondamentali vennero repressi. Venne così eliminata l’individualità della persona e la proprietà privata: la persona è dello Stato. La rivoluzione non venne fatta in favore della gente comune, bensì per poter applicare il modello economico marxista.
La relatrice ha terminato  il suo discorso con una frase dura quanto significativa: “C’è chi pensa che il marxismo sia un’ideologia giusta ma che è stata applicata male. Si sbagliano, è un’ideologia profondamente ingiusta”.