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Se avete iniziato a leggere quest’articolo, non è troppo tardi per smettere. Come nella serie e nella saga di libri, in questa pagina non troverete altro che infelicità, disperazione e sconforto, e siete ancora in tempo per scegliere di leggere qualcos’altro, come l’articolo sulla stampa 3d

In un’era in cui il mondo delle serie tv prende sempre più il sopravvento su quello dei film, zeppo di sequel e reboot, deserto di idee, Netflix, il noto servizio di streaming americano, curato dalle persone più furbe del mondo, decide di dare spazio ad universi narrativi e storie già note al pubblico negli anni precedenti riproponendole in chiave “telefilmica”. Tra queste, oltre all’attesissima nuova serie di Star Trek, che crediamo possa mettere una pezza sul cuore dei fan dopo i deliri cinematografici di J.J. Abrams, spicca “Una serie di sfortunati eventi”, basata sull’omonima serie di romanzi scritti da Lemony Snicket, già conosciuta dal grande pubblico grazie al film che vedeva tra gli interpreti principali Jim Carrey.

Una delle cose che più ho apprezzato di questo prodotto è l’attenta cura nella trasposizione su schermo di un’opera che gode già di vita propria. Non solo la storia segue molto fedelmente i libri ma ogni singolo elemento della serie racchiude appieno lo spirito di “Una serie di sfortunati eventi”.


Proprio come nei libri vi è la costante presenza di un narratore onnisciente, nonché autore della saga: Lemony Snicket. Egli spesso interrompe la narrazione per anticipare o aggiungere dettagli ad avvenimenti, e contorna la storia di chicche e discorsi senza i quali la serie perderebbe moltissimo. Essi si basano su due concetti: definizioni, per mettere in evidenza una parola recentemente pronunciata, oppure il sempreverde di “Una serie sfortunati di eventi”, ovvero l’invito a distogliere lo sguardo e di darsi alla visione di una pellicola più piacevole.
Seppur queste scelte possano dare la parvenza di stuccare, gli interventi di Snicket sono sempre tempisticamente esatti e mai ripetitivi, risultando così brillante e ironico nonostante racconti una storia triste. La stessa sigla fa leva sull’invito di interessarsi ad altro: cantata orribilmente ripete più volte “Non guardare” (in inglese “Look away”) e senza mezzi termini anticipa tutti gli avvenimenti in modo tale da spegnere ogni curiosità dello spettatore, che, al contrario, ne rimane solo affascinato.

 

A contornare l’eccellente lavoro realizzato con il narratore vi è l’ambientazione: incoerente, decadente ma colorata. La serie risulta così ulteriormente strana, i colori pastello sembrano appena usciti dallo splendido film Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, mentre le ambientazioni ricalcano esattamente quelle del film originale di Silberling e richiamano quasi il celebre stile gotico di Tim Burton. La fotografia è davvero incredibile, pulita e, giustamente, assume toni diversi a seconda dell’ambientazione: bucolica in luoghi, per quanto inadatto questo termine, felici, e lugubre e spettrale come in casa del Conte Olaf.una-serie-di-sfortunati-eventi

La vera star di questa serie è il Conte Olaf, interpretato da Neil Patrick Harris, noto per il suo ruolo in How I Met Your Mother. Un ruolo sopra le righe, bizzarro e istrionico nella sua cupezza, per il quale Harris sembra essere perfetto, mettendo a frutto il repertorio di mimica e vocalità di cui dispone. Tuttavia non sono da meno neanche gli altri attori, alcuni emergenti come gli orfani Baudelaire mentre altri esperti e famosi come Patrick Warburton o Joan Cusack.
La trama, come già detto, segue quella dei libri e ciascun romanzo della saga è racchiuso in 2 episodi. Alcuni hanno notato che le vicende affrontate dai fratelli Baudelaire lungo il corso della stagione sono molto simili tra loro e per questo credono che la storia sia ripetitiva segnandolo come punto a sfavore del prodotto. Noi crediamo invece che quest’elemento aiuti la serie a mettere in risalto la decadenza e a incentivare l’ironia che pervade alcuni momenti degli episodi.

“Una serie di sfortunati eventi”, tra bambini che vivono avventure, cattivi che vogliono rapirli e appropriarsi di loro, persone che vogliono aiutarli ed altri che finiscono per metterli nei guai, sembra raccontare la storia più semplice del mondo ma è incredibile come, attraverso l’ottima fotografia, i colori sgargianti, l’ironia, lo stile di narrazione particolare a la cura nella presentazione, risulti un prodotto tutto nuovo.

Manuel Dileo e Margherita Pindaro