L’eutanasia è una dolce morte?

Il 16 e 17 Novembre 2017 si è tenuto un Meeting Regionale Europeo della World Medical Association, promossa dalla Pontificia Accademia, per parlare di un argomento molto delicato: il “fine-vita”.
Papa Francesco ha inviato una lettera al mons. Vincenzo Paglia e ai partecipanti del meeting e, citando la dichiarazione sull’eutanasia del 5 maggio 1980, il Papa ha riconosciuto i successi ottenuti dalla medicina in campo terapeutico e che gli interventi sul corpo sono efficaci ma non sempre risolutivi.

Il punto focale della lettera è la scelta relativa alla sospensione delle cureche in base ad alcuni fattori portano al compimento dell’eutanasia.
Quello che il Papa invoca in merito è “un supplemento di saggezza”.
Ultimamente, la tentazione di insistere con trattamenti terapeutici pesanti e all’avanguardia è alta e insidiosa ma ciò non giova al bene integrale della persona. E’ moralmente lecito astenersi dall’utilizzo di terapie intensive in quanto non corrispondono al criterio morale, etico ed umanistico che viene definito “proporzionalità delle cure”.
In base ai vari fattori riguardanti le condizioni e l’integrità fisica e intellettuale dell’ammalato, si può giungere ad una decisione che, dal punto di vista morale, è considerata come rinuncia all’accanimento terapeutico.

Il paziente che capisce di non poter contrastare la morte, accetta di non poterla impedire. Questa differenza di “scelta” può restituire umanità al modo in cui morirà l’ammalato, senza giustificazioni alla soppressione del vivere. Non usare trattamenti terapeutici pesanti, o sospenderne l’uso, corrisponde ad evitare l’accanimento terapeutico, e ciò non corrisponde al sopprimere una vita umana, come invece accade per l’eutanasia.
Questa linea sottile fra le due decisioni non è mai molto chiara in quanto i criteri di valutazione vengono sopravvalutati o sottovalutati a causa di forti coinvolgimenti psicologici ed emozionali e delle valutazioni cliniche.
Anche per i medici non è semplice valutare con facilità le varie situazioni in cui si trovano i malati terminali.
Altro aspetto da tenere in considerazione è l’elevato costo dei trattamenti che diventano accessibili a fasce sempre più ristrette e privilegiate di persone, ponendo molte incognite sull’intervento da parte dei servizi sanitari.
L’importante è non lasciare l’ammalato da solo e sostenerlo emotivamente nel suo percorso, e in questa direzione si trova la medicina palliativa che affianca il malato nel dolore e non lo fa sentire abbandonato a se stesso.

In Italia, dopo uno stallo durato otto mesi e forti tensioni all’interno della maggioranza del parlamento, appelli di senatori a vita e sindaci di tutta Italia, il biotestamento ha incassato il via libera definitivo dell’aula di Palazzo Madama ed è diventato legge dello Stato. Ma il nostro dizionario non distingue la parola “eutanasia” da “dolce morte”, ritenendoli sinonimi, e a mio dire hanno un significato diverso perché col primo si definisce il reato in sé, cioè sopprimere la vita provocando la morte, e invece con il secondo, ci si riferisce ad episodi in cui il malato terminale decide di sospendere i trattamenti terapeutici quali ad esempio il caso di Dj Fabo.