La parola “femminicidio” è frutto di una società sessista

Uno spettacolo teatrale incentrato sulla violenza di genere permette di capire l’assurdità del termine, molte volte abusato.

La parola “femminicidio” è sbagliata, sessista e retrograda.

Perché? Partiamo dal principio: il 3 marzo la nostra classe ha potuto assistere ad un’opera teatrale  chiamata “Barbablù 2.0” a Milano. Lo spettacolo voleva reinterpretare la nota fiaba del diciassettesimo secolo di Perrault, riproponendola però in una chiave moderna.

La trama, a sommi capi, era questa: una moglie, assoggettata al marito, viene lasciata da sola in casa. Le viene dato il permesso di usare qualsiasi oggetto in casa, tranne il suo computer. Ovviamente, già il fatto che la moglie debba ricevere il “permesso” dal marito rende chiara la situazione drammatica che si è venuta a creare in quella famiglia.

Dopo poco, però, non riesce a resistere e, convinta che il marito la tradisca, apre il computer e accede ad una cartella con dentro dei documenti riguardanti la salute mentale della stessa. Scopre così, insieme al pubblico, che le precedenti mogli dell’uomo, che odiava con tutta sé stessa, erano non altro che lei: le era stato fatto una sorta di “lavaggio del cervello” e si era di volta in volta convinta che lei era un’altra persona, con un nome e una storia differente. Lo spettacolo termina con la sua morte, ad opera del marito, che però viene catturato dalla polizia.

È interessante come lei, senza saperlo, odiasse sé stessa. Potrebbe sembrare un nonnulla, ma è fondamentale soffermarsi su questo punto: molte donne, vittime di violenza, piuttosto che dare la colpa di un errore o un litigio al marito, evidentemente considerato senza difetti di sorta, si attribuiscono la colpa dello stesso.

Ovviamente è causa di un disagio psicologico, una tortura senza lividi che spesso non viene denunciata e che porta anche all’omicidio della consorte da parte del coniuge. Un perfetto esempio di femminicidio: ma cosa indica questa parola? Il possesso.

Spieghiamoci meglio: il femminicidio, nonostante il nome, è legato al possesso di una donna da parte di un uomo. Infatti ci sono, purtroppo, persone che ritengono una persona propria e, pur di non vedersela “sottratta”, la uccidono. Bisogna però focalizzarsi sulla parola “persona”: perché una donna uccisa è femminicidio e un uomo ucciso per le stesse ragioni no? Spesso si tenta di difendersi dicendo che esiste la parola “omicidio” ma quel termine è per la specie non per il genere.

Questo è il problema: la parola stessa è sessista; perché le donne sì e i maschi no? E’ stata aggiunta la “clausola” che impone che la vittima “deve essere di genere femminile, causando l’esclusione di tantissime categorie: non solo gli uomini, che possono essere uccisi sulla base del possesso, nonostante la statistica molto inferiore, ma anche la  quasi totalità delle categorie LGBT come i transgender, che sovente appaiono a tutti gli effetti donne.

Perché non tentare allora di cambiare lo stato attuale delle cose, perché non sostituire la parola “femminicidio” con “possessicidio”? Perché la nostra società non è veramente pronta ad essere anti-sessista. Nella maggior parte dei casi ci si riduce a dire “povere donne”, come si fa con un cane quando viene ucciso: dobbiamo smetterla di giocare a fare i rivoluzionari, ma cambiare davvero, per una società bilanciata che sappia giudicare non in base al genere ma in base ai fatti.