Intervistiamo: Chi è la prof.ssa Scotti?

Abbiamo deciso di iniziare con il botto la nuova rubrica del giornalino intervistando una professoressa di lettere che insegna all’itis informatica (nonché mia prof). Ho scelto domande che ritengo interessanti ed altre ostiche, sperando che chi non  la conosce possa conoscerla un po’ attraverso questa intervista. Diamo inizio alle danze…

Si presenti:
Mi chiamo Laura Scotti, non dico l’età perché le signore non la dicono, però non ho 25 anni… ne ho 30! Insegno in questa scuola da quando è nata: la vedevo in costruzione e dicevo ai miei bambini , che allora erano piccoli: “Io andrò ad insegnare lì”. Ho visto passare molte generazioni di studenti, molte generazioni di presidi e colleghi; mi sento appartenente a questa scuola perché ci ho trascorso una vita.

Perché ha scelto di studiare filologia?
Lettere mi ha sempre affascinato, benché io abbia sempre amato moltissimo anche gli animali, tant’è che, quando stavo terminando le scuole, avevo intenzione di iscrivermi a Veterinaria. La mia prof di lettere, però, mi ha fatto un “risciacquo” terribile, dicendomi: “tu devi andare ad insegnare, veterinaria è curare i cagnolini o i gattini delle signore isteriche o far partorire le vacche”. Io ci ho pensato per tutta un’estate, in cui però mi è successo un episodio decisivo: ho trovato dei gattini neonati che non sapevo come gestire. Non riuscivo a dar loro da mangiare, non riuscivo a soddisfare i loro bisogni primari: ho pianto per un intero pomeriggio , poi mi son detta che forse non avrei dovuto scegliere veterinaria, e mi sono iscritta a Lettere.
Una volta laureata, pensavo di entrare nell’editoria, perché mi è sempre piaciuto leggere e, fin da quando ero bambina, inventavo  dei dettati in cui compivo apposta degli errori per poi correggerli, insomma  “mi facevo da maestra”. Così ho iniziato nell’editoria che, però, non mi offriva una prospettiva : si sarebbe sempre trattato di un lavoro a chiamata, a prestazione , e ciò diventava un po’ logorante, anche perché ero fidanzata e avrei voluto formarmi una famiglia, evitando un lavoro che mi impegnasse in orari poco compatibili.
Quindi ho scelto l’insegnamento, ma quasi per caso : una ragazza che conoscevo mi ha citofonato, (ero laureata da poco), e mi ha proposto una supplenza nella scuola di sua zia, preside di un Liceo nell’hinterland milanese. Io con molto tremore la mattina dopo ho chiamato questa preside ed abbiamo avuto un colloquio telefonico durante il quale ha affermato che di sicuro io sarei stata la persona giusta (leggi fra le righe: “non ne ho trovata un’altra”).
Ho accettato la sfida, ho cominciato e e mi è piaciuto moltissimo, al punto che mi sono chiesta: “Perché non avevo mai pensato di  insegnare?”
Non ho mai più pensato di non svolgere quel lavoro! Ho avuto anche un po’ di fortuna perché era stato bandito il concorso. Io mi ero appena laureata, ero fresca di studi e ancora senza figli : ho potuto studiare bene, ho passato il concorso, e ora sono qui, ben volentieri.
Comunque la passione di correggere le bozze mi rimane nel cuore, infatti sono molto “carogna” quando mi portate il tema e non lo avete riletto, perché per me è come un gioco trovare gli errori. Questo è  anche un rischio, naturalmente; bisogna stare attenti a non prendere quella persona che ti ha “portato” quell’errore come “l’errore che ti ha portato”,  ma come “la persona che è”.
Certo si deve correggere, però anche andare oltre, ed è una sfida che vivo tutti i giorni, e che secondo me fa vivere: io non voglio essere “morta”, non voglio venire a scuola pensando: “mamma mia, sono a scuola, che brutto, vorrei essere in vacanza”. Ovviamente la vacanza non spiace a nessuno, però quando ne torno capisco che nel mio lavoro c’è tanta posta in gioco.

 

Cosa pensa della nostra generazione?
Sicuramente ci sono delle caratteristiche comuni, aspetti generazionali come il fatto di avere rapporti “virtuali”.
La generazione, però,  è fatta di persone, e io preferisco rapportarmi di più con le persone: tu non sei un “pezzo di una generazione” , tu intanto sei te stessa. Certo , magari ci sono caratteristiche tipiche della generazione: secondo me avete una grande prontezza e velocità di esecuzione, il multitasking vi appartiene, però mi rendo conto che tante volte questa prontezza resta un po’ in superficie. Non è che tutti i ragazzi oggi siano superficiali, però è più facile che, mentre avete in mente tante cose in contemporanea, non riuscite ad andare a fondo di una.
Me ne accorgo, e lo vedo in classe: l’idea di portare avanti per tutto l’anno un lavoro  mi fa immaginare tante bocche che sbadigliano.
La mia generazione era molto più elefantiaca, era una generazione di bradipi. Però non è che io dica “noi eravamo bravi, voi no”, sono caratteristiche diverse.

Crede che lei impari qualcosa da noi?
Sicuramente, insegnare è imparare. Insegnare è mostrare un segno, coinvolge gli altri, ma io non insegno da sola, insegno perché c’è qualcuno disposto ad imparare. Tutti gli anni dal mio lavoro porto a casa tanto. Se pensassi che non ho più niente da imparare venendo a scuola, non posso dire che non ci verrei più, perché è il mio lavoro e devo svolgerlo, però vorrebbe dire aver finito il mio lavoro.

Perché ama fare le battute o i giochi di parole in classe?
Ho un concetto di scuola, tentativamente, come quello dell’universitas medievale, cioè un ambiente in cui studenti e insegnanti stanno insieme:non voglio che la scuola sia un mortorio!   Di mio sono giocosa , mi piacciono i giochi di parole, le battute. Mi piace sdrammatizzare un pochettino, chiamarvi in causa per vivacizzare le lezioni, che non possono essere un funerale. E siccome a me piacciono i giochi di parole, li ripropongo anche a voi.

Cosa si aspetta dai suoi alunni? Io spero che le mie materie siano un incontro, una possibilità:  mi sono resa conto che, sì, devo “fare il programma”, ma negli anni mi sono ritagliata un percorso che mi piace, ed esempio leggendo passi che ritengo significativi. Poi magari, a seconda della classe, li cambio, perché mi aspetto che gli studenti incontrino qualcosa, una possibilità per se stessi, anche per il dopo, che incontrino un altro uomo: vedere che uno nel ‘300 comunque ha vissuto, ha pianto, ha riso, gliene sono capitate di tutti i colori : come faceva quando era “giù di morale”? come si comportava con le amicizie? E’ un po’ come dire: “io oggi, nel 2019, posso imparare un pensiero, posso attingere qualcosa da uno che è vissuto nel 1300”. E io ci credo molto. Non dico che cambi vita perché hai letto “La coscienza di Zeno”, però magari anche sì, magari davanti a certe proposte si può imparare qualcosa per sé.

 

Ha mai odiato qualche studente?
Odiato no, però ad esempio c’è stata una classe, anni fa, che mi sognavo pure di notte, sotto forma di incubo, perché non dava il minimo credito al lavoro in classe: non ascoltavano assolutamente, era molto difficile interagire. Non li ho odiati , ma mi rattristava che, a fine lezione, si limitassero a chiedere : “Che pagine dobbiamo studiare?”. Queste cose mi fanno soffrire molto, non c’è il singolo alunno che odii.

 

Itis o liceo?
Inizialmente, quando sono venuta qui, la mia scelta di cattedra è stata questa: in segreteria c’era il Sig. Marchetti. Io mi sono presentata e lui mi ha salutato e mi ha messo in mano un foglietto con l’orario di prima e seconda A, ma non c’era ancora il liceo, era solo itis.
Ho guardato l’orario, che era scomodissimo per me, visto che avevo una bambina piccola, così ho chiesto se non si potesse cambiare. Marchetti mi ha messo in mano un fascio di foglietti, dicendo: “Scelga quello che preferisce”. Siccome avrei preferito insegnare al triennio, dove avevo cominciato la mia carriera, ho scelto subito una cattedra del triennio,  cioè la terza, quarta e quinta A Elettronica. Dopo sono passata su Informatica.
L’itis è più “sfidante”, perché alcuni studenti mi hanno detto: “Sono venuto ad Informatica non per studiare Italiano e Storia”. Certo lo giudico un pensiero troppo settoriale: allora iscriviti ad un corso dedicato, perché il diploma vuole dare una formazione più ampia. Anche se i mie studenti sono informatici, li provoco chiedendo: “però volete uscire “persone”?”

Ha mai avuto discussioni con i suoi colleghi? Discussioni gravi no, ma a volte mi amareggio quando sento qualcuno (pochi, per fortuna!) affermare che vorrebbe essere ovunque tranne che qui, a scuola.

Cosa pensa che noi pensiamo di lei?
Questa è difficile. Un giorno uno dei miei studenti mi ha detto: “No, ma lei è buona prof, lei non lo sa”. Io spero di non passare per una insegnante che si accanisce, ma neanche per una che lascia fare di tutto.  Mi sembra che sia giusto lavorare, che ognuno dia il suo meglio, ma senza “accanimento terapeutico”, senza crudeltà. Senza “buttare via il bambino con l’acqua sporca”. Se hai fatto una verifica orribile, questa è la tua verifica: certo devi renderne conto, ma tu “non sei” la verifica orribile! Spero che questo messaggio passi.

Da intervistatrice posso dire che mi ha colpito tutto ciò: banalmente si nota che i professori sono solo umani e non entità sconosciute che interagiscono con noi solo per insegnare. L’opportunità di intervistare e la possibilità di pubblicare l’intervista sul giornalino è una ricchezza infinita per tutti. Sia perché si conoscono davvero i professori sia perché si possono imparare cose nuove, magari piccoli insegnamenti di vita. La professoressa Scotti è la mia prof. di italiano, quindi un pochino la conoscevo già e mi dispiace che chi non la conosce ha perso la prof che fa i giochi di parole più assurdi che ci siano, alcuni elaborati, altri pessimi, ma ormai in classe è una sorta di malattia.

Possiamo quindi inaugurare degnamente e ufficialmente il ritorno della rubrica sulle interviste!