Anni di Piombo – la voce delle vittime per non dimenticare!

Dal venti marzo al primo aprile di quest’anno, si è tenuta, presso il nostro istituto, una mostra aperta al pubblico dal titolo “Anni di Piombo, la voce delle vittime per non dimenticare”. Abbiamo deciso di intervistare due ragazzi protagonisti dell’evento in quanto guide della mostra.

Perché avete scelto di allestire una mostra su gli “anni di piombo” e non su altri fenomeni ed eventi legati tristemente alla storia italiana e alla criminalità?

Natalia Elia: La mostra è stata allestita da alcuni insegnanti di italiano tra i quali la professoressa Boschi, la nostra docente di italiano, nell’ambito del progetto dell’educazione alla legalità.
L’argomento penso sia stato scelto perché è un tema del quale non si parla molto e di cui i ragazzi come noi non sanno molto. Inoltre, quello degli anni di piombo, è un periodo vicino ma anche lontano da noi. Vicino perché comunque gli anni ’70 e ’80 non sono poi così indietro nel tempo, ma è veramente lontano dal punto di vista sociale. Da allora sono cambiate molte cose e personalmente trovo molto difficile immaginare di vedere ogni giorno, ad esempio, una sparatoria per le vie di Milano.
Questo tema è stato scelto principalmente per “farci respirare” un po’ dell’aria che tirava in quel periodo e farci capire quanto e come siano cambiate le cose da allora.

Alessandro Panna: In quanto studenti abbiamo avuto un relativo potere decisionale rispetto all’argomento dell’esposizione. In ogni caso la spinta rispetto al tema “anni di piombo” è stata principalmente una questione di curiosità nostra, considerando che questo tipo di argomenti, riguardanti l’ultimo secolo, sono poco trattati data l’estensione dei programmi curricolari. Un’altro aspetto della scelta è stato senz’altro il fatto che gli eventi da noi analizzati sarebbero stati eventi vissuti in prima persona dai nostri professori e genitori, cose che per loro non erano storia ma la vita di tutti i giorni.

C’è qualche storia o testimonianza che vi ha colpito particolarmente?

Natalia Elia: Tra tutte le testimonianze che sono riportate sui pannelli della mostra, mi hanno particolarmente colpito due frasi:•“I ricordi, più passa il tempo e più diventano preziosi: uno se li tiene stretti, ma deve imparare a conviverci” (testimonianza sul rogo di Primavalle – tratta da Cuori Neri).•“Noi, invece, ricordiamo sempre tutto. Questa è la nostra pena e la loro dannazione” di Massimo Coco, figlio di Francesco Coco (ucciso dalle Brigate Rosse a Genova nel 1976). Il tempo ha reso queste persone più consapevoli di ciò che era successo.

Alessandro Panna: Quello che ci ha colpito in particolar modo è stato il fatto che per ogni caso analizzato ci fosse un protagonista, una persona diciamo più emergente, con la sua storia e la sua triste fine (nella maggior parte dei casi); questi sono sempre ricordati, giustamente, come personaggi con una grande dedizione e di grande coerenza rispetto alle idee sostenute ma troppo spesso ci si dimentica di quelle vittime che possiamo denominare “di contorno”, tutta la trafila di sostenitori, militanti, impiegati statali e persone, per così dire comuni, che hanno perso la vita quasi inosservati. Oltre a questo aspetto, un caso che ci ha colpito in modo particolare è stato l’omicidio Galvaligi. Enrico Galvaligi era generale dei Carabinieri e addetto alla sicurezza nelle carceri quando, il 12 Dicembre 1980, il magistrato D’Urso fu rapito. Il crimine fu subito rivendicato dalle Brigate Rosse, le quali, in cambio del rilascio dell’uomo, ottennero la chiusura del carcere dell’ Asinara. In contemporanea vi furono però delle insurrezioni nel carcere di Trani, sedate proprio da un comando di uomini di Galvaligi, che liberò vari ostaggi e calmò le acque. Il 31 Dicembre l’uomostava rientrando a casa in compagnia dei suoi figli e della moglie; due uomini si avvicinarono con inmano un pacco, spacciandolo per una strenna di capodanno, e chiamarono l’uomo, che rispose. Morìtra le braccia della moglie crivellato di colpi. Per noi è stato un pugno nello stomaco.

Dopo aver analizzato in classe gli eventi degli “anni di piombo” ed essere stati delle guide alla mostra, cosa è rimasto in voi? L’occasione vi ha offerto la possibilità di porvi delle domande e conoscervi meglio ?

Natalia Elia: La mostra mi ha offerto l’occasione di uscire un po’ dal mio guscio. Io sono una persona molto timida che si vergogna e si blocca ogni volta che deve parlare in pubblico; anche semplicemente davanti ai miei compagni di classe molto spesso mi imbarazzo e balbetto qualcosa di incomprensibile.
Avendo fatto da guida alla mostra, ho parlato davanti a tre classi di 20 ragazzi della mia età per almeno 10 o 15 minuti. La prima volta non nego che ero imbarazzatissima però dalla seconda in poi è andata meglio. Quindi sicuramente mi sono aperta un po’ di più e ho “sconfitto” una piccola parte della mia timidezza. L’aver accettato di fare da guida è stato anche un modo per mettermi alla prova, per vedere se effettivamente fossi riuscita a parlare e a far capire qualcosa a quelli che mi ascoltavano. Non so se ci sono riuscita però mi sembra di non essermela cavata molto male.
Della mostra mi sono sicuramente rimaste le testimonianze dei familiari delle vittime che io e il mio gruppo abbiamo analizzato, ma in particolare è rimasta la concezione del tempo di cui ho parlato prima.

Alessandro Panna: Sicuramente ci è rimasto quanto fosse importante portare avanti un’idea con coerenza.Quello che ci fa pensare è però la ragione per cui oggi i giovani che si interessano di politica siano così pochi rispetto a quegli anni. Sembra quasi che ci sia un senso di rassegnazione, in alcuni casi, per il quale si pensa che ci sarà sempre qualcun’altro ad occuparsi della nostra vita e del nostro futuro; ma se non siamo noi giovani in primis, a metterci in gioco, non ci sarà mai nessuno in gradodi cambiare ciò che a noi pare sbagliato.