Alternanza scuola-lavoro: 3 anni dopo

Con la riforma della Buona scuola approvata nel 2015 il ministero ha deciso di inserire nel triennio delle scuole superiori, un’ammontare di ore obbligatorie, che ogni studente deve obbligatoriamente fare in aziende, enti locali istituzioni pubbliche e private, lavorando e confrontandosi con la realtà del mondo del lavoro, come scritto dal comma 33 della legge 107, «al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti». Il numero di ore da portare a termine dipendono dall’indirizzo scelto dallo studente: 400 per gli istituti tecnici e professionali e 200 per i liceali, in quantità minore dato che per loro è più difficile trovare impiego, non essendo specializzati in nessun campo.

La legge ha previsto due tutor, uno interno alla scuola e uno esterno, presente nell’impresa che ha deciso di accogliere gli studenti. I due stilano una convenzione con la scuola grazie alla quale lo scolaro potrà lavorare per il tempo previsto.

Ormai sono tre anni che la riforma è in vigore, tuttavia ci sono ancora diversi dubbi: cosa accade se a fine quinta non si ha lavorato tanto da completare tutte le ore, se le stesse vengono perse in caso di bocciatura e come sarà strutturata la maturità 2018. Una cosa è certa: a tutti non è andata giù. O meglio, a quasi tutti, sicuramente è stata apprezzata da alcune aziende, sia multinazionali che non, che hanno subito colto l’occasione per avere lavoratori a costo 0. Tuttavia c’è da dire che ci sono state anche numerose altre aziende che si sono dimostrate umane, alcune hanno offerto un rimborso viaggi, altre la mensa, altre ancora hanno avuto pochissime pretese; rendendo la nuova realtà dello studente del triennio più accettabile. Le scuole stesse si sono prodigate con progetti, iniziative e incontri mirati a smagrire il carico, offrendo opportunità interessanti e utili.

Tuttavia il numero di ore, nel particolare dei tecnici, rimane comunque spropositato e spesso ha portato ragazzi ad accettare lavori non inerenti al percorso di studi scelto e che sopratutto non avrebbero mai voluto fare. Forse è proprio così che il ministero aveva intenzione di far conoscere il mondo del lavoro, mostrandolo crudo, selettivo, e necessitante di una piccola dose di fortuna. Fortuna perché essa è necessaria, ma non indispensabile, per trovare un impiego utile. Ciò tuttavia spinge l’ambizione e la volontà di avere qualcosa di meglio, che a loro volta spingono a cercare e a crearsi quella fortuna.

Nelle mie esperienze tuttavia ho notato una cosa importante: l’alternanza-scuola lavoro è molto più efficacie quando vi è uno studente affidato a un team e non viceversa. In tal caso, secondo me, lo studente si responsabilizza ed è meno estraneo a quel che accade nell’ambiente di lavoro, dato che è costretto a legare coi colleghi, a lavorarci, a fare parte del team. Il contrario invece avviene quando vi sono più studenti associati a un tutor, i quali tendono a isolarsi.

Recentemente vi sono state manifestazioni nelle piazze delle città più importanti d’Italia di studenti, contrariati, vestiti in blu come operai, che protestavano per questa riforma, richiedendone l’abolizione. Secondo me questa di protesta è stata sbagliata: non è tanto la legge a essere errata, 400 ore in due estati si fanno senza problemi, io stessa ne ho fatte 600 e non ho mai avuto problemi di tempo, di ansia e di stress, dei quali tanti si lamentano. Quello per cui bisogna manifestare è piuttosto il fatto che i contratti di lavoro sono sostituiti da convenzioni tra scuola e azienda e sopratutto di come alcune aziende ne abbiano approfittato. Infatti condivido altre proteste, che hanno come obbiettivo il rilascio della «Carta dei diritti degli studenti in alternanza» da parte del Ministero dell’Istruzione. Difatti queste hanno avuto buon fine, la ministra Valeria Fedeli recentemente ha dichiarato che «la Carta è in arrivo prima di dicembre» mentre il Coordinamento dei collettivi ha attivato un numero per raccogliere le segnalazioni dei ragazzi.

 

Come avrebbe potuto funzionare questa riforma? Sicuramente diminuendo le ore. Ciò avrebbe permesso stage più brevi, e quindi la possibilità di poter ospitare più studenti in un’azienda; inoltre avrebbero dovuto esserci maggiori controlli sulle convenzioni e sopratutto un’organizzazione più adeguata da parte dallo stato, che ha tentato di scimmiottare modelli europei simili già esistenti, ma senza pensarci adeguatamente su.